Quando si fa riferimento alla sede della Suprema Corte di Cassazione spesso si sente utilizzare il nome “palazzaccio”. Ormai è entrato nel gergo di chi frequenta con abitualità le aule del terzo ed ultimo grado del processo civile o penale.
Ma da dove nasce questo soprannome così dispregiativo?
Facciamo un passo indietro. Il Palazzo di Giustizia di Roma (usiamo il termine corretto e d’origine) fu costruito tra il 1888 e il 1910 su progetto dell’architetto Guglielmo Calderini e inaugurato l’11 gennaio 1911.
Le sue enormi dimensioni riprendono il progetto del Ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Zanardelli, che voleva realizzare un “monumento di severa bellezza il quale, sulle tracce dei più imitabili modelli del cinquecento, accoppi la vetustà e l’eleganza all’impronta di quella maestà e di quella forza che sono gli essenziali attributi della legge e del diritto, un vero e proprio Tempio alla Giustizia”.
L’edificio ospitò anche dal 1927 al 1943 la sede del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, ossia il tribunale politico fascista.
Ciò non deve trarre in errore; il termine “palazzaccio” non deriva dall’aulica severità che l’edificio incute e nemmeno sul tragico ricordo dei processi fascisti.
Le ragioni furono (secondo la leggenda, è il caso di dire) due:
La prima, sin dalla prima pietra posata emersero problemi strutturali, anche perchè l’imponente edificio posava su un terreno instabile di origine alluvionale.
La seconda, la sua costruzione è stata oggetto di un’inchiesta parlamentare, tanto apparivano evidenti i sospetti di corruzione che la riguardavano.
Stante quindi le vicissitudini politiche e giudiziarie che il nuovo Palazzo di Giustizia ebbe da affrontare dall’origine, il nome più calzante, secondo l’opinione dell’epoca, non poteva essere diverso da quello che ancora oggi si utilizza.
Avv. Andrea Valentinotti